II° Racconto Insider: l’integrazione dei ruoli per favorire la trasformazione in smart factory

Ecco il secondo post della serie “i racconti insider”, perché sono i testi delle persone che lavorano nelle aziende e che raccontano, in modo sintetico, il progetto che hanno seguito dall’interno, le luci e le ombre di questi progetti e per questo saranno racconti anonimi, senza la citazione di chi racconta e dell’azienda: vogliamo testimonianze chiare, anche su cosa eventualmente non ha funzionato, per poterci ragionare e imparare. In questo secondo, il racconto di un progetto di trasformazione nell'industria, per favorire l’integrazione durante un processo di innovazione tecnologica.  

 La premessa

Nella sede produttiva italiana di un’azienda multinazionale, viene appena introdotto il nuovo sistema organizzativo di produzione, che si basa sull’integrazione di nuove tecnologie, che incrementano gli impianti produttivi e potenziano tutte le loro operazioni. Nel percorso verso la trasformazione in una smart factory, si rende necessario un nuovo modo di lavorare, con una maggiore integrazione per processi: aspetto questa sede produttiva non aveva pienamente implementato e le persone non avevano ancora una chiara idea di che cosa significasse, in senso operativo. Il modello di organizzazione presente, di tipo matriciale, implementato da pochi anni, metteva in luce la necessità di favorire un coordinamento per l’integrazione tra le funzioni. La cultura della sede produttiva, negli anni, a differenza degli altri paesi e sedi, non era evoluta molto, rimanendo ancorata ai messaggi e ai segnali gerarchici e alla logica funzionale; la sede era stata acquisita alcuni anni orsono dalla multinazionale, dopo gli anni gloriosi della sua crescita e del suo successo in Italia e poi all’estero: questa impronta faceva fatica a sparire anche perché la casa-madre aveva adottato un approccio di integrazione lenta, per salvaguardare sia la qualità della produzione, storico fiore all’occhio, sia perché adottava un modello che garantiva una certa autonomia ad ogni unità produttiva. La fotografia della situazione di partenza, si completa con la segnalazione che gli indicatori di produzione dello stabilimento sono in linea con il piano predisposto e gli obiettivi strategici. Ed anche, con l’indicazione che vi era stato, negli ultimissimi anni, un ricambio generazionale dei manager intermedi, figure cardine, assunti uno dopo l’altro al pensionamento dei loro predecessori, senza che vi fossero state azioni significative di conoscenza vera tra loro e di supporto alla loro integrazione operativa; inoltre, questi giovani manager facevano emergere, assorbiti dai loro risultati di funzione, una bassa consapevolezza della propria capacità di impattare sui risultati generali dell’impresa. Una survey internazionale di casa-madre rivela che, per la sede produttiva, vi sono delle aree di miglioramento sia in ambito di integrazione delle funzioni, sia di comunicazione sia di sviluppo professionale. In passato, la survey non era stata svolta in quanto era considerata una sede non ancora pienamente integrata nei processi interni a livello wordlwide. Sulla base di questa prima survey, la direzione HR avvia un’analisi qualitativa, attraverso colloqui mirati, per cogliere in modo più approfondito quali solo le motivazioni delle difficoltà che si sono palesate: la raccolta di feedback da una serie di testimoni privilegiati, a vari livelli e in tutte le funzioni, mostrano che vi è effettivamente la necessità di integrazione tra le persone e le funzioni, alcuni richiamano la necessità di avere un clima maggiormente “energetico” e motivante.  

Il progetto sui middle manager

La survey è la chiave per la direzione HR a proporre all’ A.D. di intervenire per accompagnare l’evoluzione tecnologica della produzione con azioni per disinnescare le difficoltà operative che si manifestano attraverso la piccola conflittualità tra ruoli, di livello "orizzontale", che ostacola i processi trasversali; ruoli che includono sottoculture aziendali differenti, come la produzione, fulcro e vanto della sede, la qualità, i sistemi informativi, lo staff direzionale. La scelta è stata quindi di avviare un progetto sui middle manager, che permettesse di evitare di perdere persone chiave, investendo su di loro e, contemporaneamente, sull’integrazione operativa. Un percorso articolato e composito, della durata di un anno, che permettesse di dotare questi manager intermedi di strumenti per la propria crescita professionale, quella delle loro performance individuali ed anche aumentare il livello di integrazione interfunzionale, creando sostanzialmente il team dei primi riporti. In specifico, gli obiettivi del progetto sono stati lo sviluppo del team e l’integrazione dei suoi componenti; il favorire una cultura del miglioramento continuo attraverso i ruoli presenti nel team, quali cinghie di trasmissione; il raggiungere gli obiettivi di business, con un incremento significativo delle performance della delivery. Viene deciso di seguire il progetto internamente, senza il supporto della consulenza, viene individuata la metodologia denominata "action learning", come quella più efficace affinché fosse il team, con il supporto (HR) a sperimentare il nuovo modo di lavorare ed interagire tra loro e con tutta la sede. 

Le problematiche

Le problematiche emerse sono legate allo svolgimento del progetto, comunque prevedibili: un inizio difficoltoso in quanto i middle manager non erano abituati a confrontarsi e parlarsi, anche su aspetti di processo e di operatività, non solo a livello di conoscenza personale. Per ovviare a questa problematica sono state previste azioni per favorire lo scambio, attraverso sotto-gruppi di lavoro per progetti di integrazione operativa ed incontri di team secondo un piano definito, per facilitare l’integrazione tra le persone. La risposta è inizialmente buona, in particolare per i sottogruppi, che funzionano e i lavori proseguono attivamente, sotto la spinta della funzione HR, che ha puntato molto sul progetto; l’integrazione complessiva, invece, stenta a decollare, i membri non percepiscono il team come effettivo, ognuno ritiene di aver fatto la sua parte e non costruisce la relazione con gli altri. A metà progetto, la funzione HR dichiara al team riunito che vi era un l'obiettivo non ufficiale, quello di lavorare sulla relazione tra loro, implicitamente chiedendo loro di essere capaci di fare squadra, d’ora in poi, senza il supporto esterno, per superare le conflittualità insite nelle relazioni professionali. Il team si sente abbandonato, dopo un periodo di maggiore integrazione, in cui, grazie alla necessità di far confluire i risultati dei sotto-gruppi, il team trova il modo di collaborare attivamente. Infatti, dopo un periodo di auto-convocazione del team che dura un paio di mesi, gli incontri diradano; la funzione HR quando lo scopre, si attiva subito per riconvocare le persone, con l’idea di fare il punto della situazione del progetto di action -learning. Dopo questo incontro il team riesce a definire un piano futuro per l’anno successivo, risorse e tempi per dare risposte. 

Conclusioni

Questo progetto ha, innanzitutto, reso evidente alla funzione HR che il proprio ruolo cambiava, così come quello delle funzioni coinvolte nel progetto: interpretare la funzione come presidio dei processi della gestione del personale e poi avviare un progetto di action learning con i ruoli operativi, risulta un salto per chi lo svolge e per chi è abituato a interfacciarsi con questa funzione. Le persone di HR coinvolte nel progetto hanno potuto avvicinarsi maggiormente agli obiettivi di business, comprenderli meglio; conoscere meglio le dinamiche tra i ruoli e le persone e le loro difficoltà organizzative, come le vivono. Parallelamente, i ruoli operativi invece hanno potuto meglio comprendere cosa vuol dire svolgere una funzione di staff, al di là delle “scontate” funzioni amministrative e di gestione complessiva del personale, che può anche attivarsi per la crescita professionale delle persone, superando la cultura preesistente. Nell’integrazione tra i ruoli di middle manager per il funzionamento aziendale, vi è anche l’HR, che non può escludersi da questo coordinamento: favorire le persone nella ricerca di una maggiore efficienza e del miglioramento dei processi e delle relazioni, oltre che creare le condizioni perché l'organizzazione sia in grado di valorizzare le potenzialità delle proprie persone, sono aspetti che questa funzione ha fatto propri e che gli vengono, ora, riconosciuti dall’azienda. Ma ha, inoltre, reso chiaro, in particolare, alle persone che hanno partecipato al progetto, che i processi operativi richiedono integrazione e che essa non è la somma delle diverse funzioni seppure efficienti ognuna per conto proprio: chiaro in linea di principio, le persone lo hanno toccato con mano, aumentando il loro grado di integrazione, anche grazie all’avvio di processi operativi maggiormente coordinati. Il cambiamento, in una realtà che viveva la storia passata come una medaglia sul petto, è delicato e non sempre facile da favorire.

 

Che cosa imparare da questa esperienza? Come emerge dal racconto, il processo di cambiamento non è stato pienamente considerato in tutti i suoi aspetti: non tanto dal punto di vista organizzativo e nell’idea in sé, quanto il ruolo della funzione che si è posta a guida ed accompagnamento allo stesso tempo, in quanto non ha considerato l’immagine che aveva all’interno. Come favorire il cambiamento, quando non sei riconosciuto in quel ruolo dalle altre funzioni? Noi di CambiarParadigma pensiamo che la risposta alcune volte sia decentrare la propria funzione, non essere il perno guida, ma un facilitatore esterno, che può giocare le sue carte senza condurre e quindi evitare che gli altri si facciano condurre. Favorire il cambiamento, farlo diventare duraturo, richiede, anche da parte di chi avvia il gioco, il pensare in modo diverso ma anche viversi in modo diverso. In questo modo è possibile favorire, indirettamente, quella fiducia e motivazione a lavorare come team integrato che ha fatto fatica ad emergere.